Articolo su Skopje: I Balcani siamo noi

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La rivista Internazionale N° 642 ha pubblicato questo articolo tratto e tradotto dal Die Zeit.

Buona lettura 🙂
Chiese e moschee, macerie e cemento, auto di lusso e cavalli.
Passeggiare per Skopje è come vivere un sogno ambientato in epoche e
realtà diverse. Che convivono e vanno avanti senza pestarsi i piedi

MICHAEL ALLMAIER, DIE ZEIT, GERMANIA

Old City

Tra un sorso di caffè e l´altro, Dona Dimitrova pronuncia il fatidico
nome: “Sì, qui siamo nei Balcani. Quelli seduti sulla polveriera siamo
proprio noi”. Già, e questa è Skopje: la città che tutti – in Slovenia,
in Croazia, in Bosnia e perfino in Serbia – indicano quando si domanda
dove siano i Balcani: “No, non è qui, è laggiù”. I macedoni, invece,
non possono indicare un altro posto. Più a sud comincia la Grecia.
Siamo seduti al Broz Kafe, un locale che va per la maggiore nella parte
occidentale della città. Deve il suo nome al maresciallo Josip Broz
“Tito”, e i nuovi ricchi ci vengono per stupirsi delle tazzine di latta
in cui bevevano i loro genitori. In questa tiepida mattina di primavera
le sedie all´aperto sono tutte occupate. Ma la gente qui non lavora?
“Certo che lavora”, ribatte Dona. “Fare affari al caffè è molto
balcanico”.
E lei si sente molto balcanica? A prima vista non si direbbe: capelli
corti e tailleur con i pantaloni, Dora evita ogni commento caustico sui
politici corrotti, sulle umiliazioni storiche, sui vicini ostili: “Sono
cose da vecchi”. Il patriottismo di Dona è il suo ottimismo, il suo
guardare avanti. La disoccupazione al 43 per cento? “Chi cerca lavoro
sul serio, trova sempre qualcosa”. I problemi con la minoranza
albanese, che cinque anni fa sono degenerati in scontri sanguinosi?
“Sono stati alimentati da provocatori. Ho molti amici albanesi”. Il
fatto che, oltre al suo impiego, tenga la contabilità di
un´organizzazione umanitaria americana e allo stesso tempo si prenda
cura del suo bambino? “Per noi la famiglia è sacra”. E tutto ciò non
impedisce a Dora di restare a ballare con gli amici fino a tarda notte.
È una donna forte. Chi si fa guidare da lei per queste strade, conosce
una Skopje dinamica e vitale.

L´orologio della stazione
Skopje non è una città per viaggiatori sprovveduti. È povera. Gli
idranti malandati spandono acqua sul manto stradale dissestato. I
tombini scoperchiati invitano alla prudenza. Uno sciopero dei
netturbini passerebbe inosservato. Ma chi non si lascia spaventare da
tutto questo, scopre la bellezza nei luoghi più improbabili.
Il fiume Vardar divide la città in due. Lungo la riva meridionale corre
una nuova strada asfaltata a due corsie, per gli skater e gli amanti
della mountain bike. Solo un lontano brusio di automobili tradisce la
vicinanza della metropoli. Sugli alberi spogli del vicino parco stanno
appollaiate centinaia di cornacchie. Qui la sera, le coppiette sulle
panchine si sbaciucchiano con un´intensità che la dice lunga sul
mercato immobiliare più di qualunque giornale di annunci economici. Al
primo ponte del centro cittadino, dove termina la pista, sembra di
essere piombati in un film di Ed Wood: crociati contro marziani. A nord
c´è la città vecchia sovrastata dalla fortezza di Kale, costruita
quindici secoli fa. Esattamente di fronte, sulla riva destra, i
marziani hanno eretto il loro quartier generale: quello che gli
abitanti di Skopje chiamano palazzo dell´amministrazione delle poste, è
una dichiarazione d´amore al cemento, alta almeno una cinquantina di
metri e larga il doppio. La fantasia degli architetti si è sbizzarrita
in torri, guglie, oblò e vetrate. Accanto c´è l´Ufo, ossia l´ufficio
postale, al cui interno s´intravede un atrio circolare con ventisei
sportelli, per lo più chiusi. L´ingresso principale, secondo la buona
tradizione socialista, è riservato agli impiegati.
Lo scenario circostante è un campo di battaglia: macerie sparse
ovunque, i vetri dei lampioni spaccati. In realtà è passato molto tempo
dall´ultima volta che si è combattuto per Skopje. La colpa del suo
aspetto scalcinato è del terremoto del 1963, che ha provocato più di
mille vittime. In quel periodo, però, al culmine della guerra fredda, i
finanziamenti arrivavano abbondanti, perché sia l´ovest sia l´est
corteggiavano la Jugoslavia non allineata. Così si affermò anche uno
stile architettonico rozzamente futurista, di cui il palazzo delle
poste è l´espressione più tronfia. Due traverse più in là c´è la
vecchia stazione, che oggi per metà è trasformata in museo e per
l´altra metà è ancora in macerie. Il terremoto ha fermato l´orologio
alle 5.17 del mattino. Non è stato riparato per anni e alla fine è
stato dichiarato monumento commemorativo. In realtà passeggiando per la
città ci si accorge che non c´è un solo orologio funzionante. Anche
questo tutto sommato ha un senso: Skopje vive veramente in epoche
diverse. Dall´altra parte della strada, di fronte a un centro
commerciale nuovo di zecca passano sferragliando i carri a cavalli dei
rom. Per le vie del centro si incontrano improvvisati commercianti che
nelle scatole da scarpe posate sul marciapiede offrono in vendita i dvd
di film che non sono ancora passati nelle sale. E poi si incontrano
giovani come Almir, che tra i tanti lavori che fa ha trovato anche il
tempo per organizzare un servizio navetta per turisti. La grande
limousine Mercedes è sua, ci spiega. Nel vano portaoggetti ha due
telefonini e quando parla con entrambi guida con i gomiti. È strano
sentire che anche lui ripete il vecchio ritornello: “Prima, quando
c´era la Jugoslavia, tutto andava meglio”.

Sotto terra e oltre i muri
Molto di quello che si vive in questa città, in effetti, sembra uscito
da un sogno. Ma anche i Balcani hanno la loro quotidianità. Che suono
ha Skopje? È rumorosa e vivace. Ogni parte della giornata ha la sua
musica: al mattino i clacson, durante il giorno i cantieri, la sera il
cantilenante pop turco e di notte i concerti dei cani. Che odore ha
Skopje? Odora di scappamento, di fuoco di legna e, con un po´ di
fantasia, anche dei boschi e delle montagne circostanti.
Come ci si veste? Con un mix balcanico: giacche di nappa nera
sintetica, tute militari, capi griffati veri o falsi, purché il marchio
sia bene in vista; i completi, ultimo patetico legame con il decoro
borghese, li indossano solo i poveri. Tutta la gamma degli indumenti
possibili si può acquistare nel villaggio dei rom alla periferia nord
della città. Come si mangia, a Skopje? Per niente male. Soprattutto da
Kamnik, un casino di caccia un po´ kitsch all´ingresso della città,
dove ragazzotti con camicie da boscaioli servono sostanziose pietanze
di selvaggina. Al momento di uscire si può soffiare in un etilometro,
che il più delle volte, vista la generosità dei vini della casa, si
illumina con un “don´t drive”.
La piccola Macedonia è l´unico paese che è riuscito a staccarsi dalla
Jugoslavia senza ricorrere alla violenza, e anche in seguito è riuscito
a risolvere i propri conflitti in maniera relativamente pacifica.
L´espressione più bella della maniera macedone di gestire le crisi è
Sveti Spas, non lontano dalla fortezza: vista dall´esterno sembra una
semplice fattoria, all´interno è la più bella chiesa ortodossa della
città. Gli ingegnosi abitanti di Skopje l´hanno costruita due secoli
fa, scavando nella terra, in modo che non sovrastasse le moschee dei
dominatori ottomani.
Anche le Idadia, le osterie gemelle, dicono molto sul carattere dei
macedoni. Idadia significa comunità, ma quando la gestione dell´osteria
è stata assegnata ai due fratelli proprietari dei locali, loro hanno
costruito un muro divisorio e hanno cominciato a gestire le due osterie
facendosi concorrenza. Poi l´Idadia di destra è stata data in gestione
a un eccentrico quarantenne che si fa chiamare Boro Sniper, Boro il
cecchino. “È come il muro di Berlino”, dice cercando di spiegare al
visitatore il dissidio tra i fratelli. Il rapporto di Boro con la
Germania, del resto, non è del tutto chiaro: “Chiamami Führer, quando
parli con me!”, grida aggirandosi nella sala dell´osteria. Non mi è
sembrato il caso di domandare a Boro il cecchino da dove gli veniva
quel soprannome.

Un po´ di pressione
Nell´ufficio di Robert Alagjozovski è appesa una vignetta intitolata
Best of Balkan. Raffigura un uomo disteso sul divano di casa sua,
davanti al televisore, tra le riviste erotiche, ucciso a pistolettate
dai ladri. È indicativa di come Robert vede i suoi connazionali: molti
rincitrulliti dal consumismo, gli altri delinquenti. Secondo la Nato
nel paese ci sono mezzo milione di armi illegali: “Alcuni si portano la
pistola perfino ai matrimoni”, conferma Robert. Ha l´aspetto
dell´intellettuale: un po´ sovrappeso, i capelli crespi raccolti in un
treccia, lo sguardo gentile e attento. Robert lavora al Toska, l´unico
centro culturale non statale della città. Sperava che con la fine del
socialismo sarebbe nata una società più giusta. “Invece, al posto di un
partito autoritario, ora ne abbiamo dieci, e nessuno è al servizio
della cosa pubblica”. Passiamo davanti al portone del villino che oltre
al centro ospita anche una galleria e un negozio. “Se vuoi sapere come
vanno le cose qui, mettiti a guardare un semaforo. Aspetta finché non
si guasta: vedrai che a quel punto tutti cercheranno di passare per
primi. Ecco, così è la Macedonia”.
Viene da chiedersi: ma c´è qualcosa che funzioni? Skopje è una città in
fermento, in trasformazione o in demolizione? A quanto pare, tutte e
tre le cose. Il fatto più sorprendente è che riesce a rimanere unita
malgrado tutte queste fratture. Nemmeno i suoi abitanti sanno di cosa è
fatta la colla che la tiene insieme.
Prendiamo per esempio una serata al Van Gogh, un locale della città
nuova. Gli uomini portano i capelli tagliati a spazzola e hanno facce
vissute. Alcune donne indossano top aderenti sotto i giubbotti di jeans
(e non è così atroce come suona). Il gruppo suona il rock: non sul
palco, che non c´è per mancanza di spazio, ma in mezzo ai clienti, che
si aggirano incuranti tra bassista e batterista. Eppure non si ha la
sensazione di stare stretti. Forse dipende dal modo in cui la gente si
muove: è uno strano modo di toccarsi, non è spingere, né urtare, ma un
sommesso modo di far capire “ci sono anch´io qui”. È un po´ il credo di
Skopje: per andare avanti bisogna sempre fare un po´ di pressione.
Forse anche l´avviso che sta scritto sopra il bancone del Van Gogh è
tipicamente balcanico: “Free drinks tomorrow”.
La speranza richiede pazienza.

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Informazioni Utili
ARRIVARE. Per soggiorni inferiori a tre mesi è sufficiente il
passaporto. Skopje è raggiungibile da Roma con i voli della Mat (06 65
958 661), sia diretti sia con scalo nelle principali città europee. Un
volo a/r costa 235 euro, tasse escluse.
VEDERE. L´ufficio per il turismo del Vecchio Bazar (00389 2 116 854),
che organizza visite guidate della città, è aperto dalle 8 alle 19, il
sabato fino alle 17. I siti www. skopjetourism.org e
www.skopjeonline.com .mk offrono informazioni e indirizzi utili.
DORMIRE E MANGIARE. Allo Stone bridge (www.stonebridge-hotel.com), un
nuovo albergo a 5 stelle in ottima posizione, il prezzo minimo per una
camera è 99 euro a notte. Il Kamnik (www.kamnik.com.mk), non lontano
dall´aeroporto, è rinomato per la cucina a base di selvaggina e la
cantina ben fornita. L´indirizzo del Broz Kafe (00398 2 322 7726) è
Crvena Voda 4.
LEGGERE. Boris Vishinski, La corona di sabbia, Santi Quaranta 1995,
12,91 euro.