Rompere lo “scalone”

posted by

While Biljana comes home, thinking to Taverna Toscana

Taverna Toscana

Come potete immaginare sotto il culo di chi scrive di chilometri ne sono passati parecchi. Fin da bambino del viaggio ho assaporato gioie e dolori, il bello delle cose nuove e il brutto del distacco.

Vi voglio citare una passo di On the Road che quando ero ragazzino tenevo sempre a mente e che mi sono portato fin qui:

Che cos’è quella sensazione quando ci si allontana dalle persone e loro restano indietro sulla pianura finché le si vede come macchioline che si disperdono?… È il mondo troppo vasto che ci sovrasta, ed è l’addio.

Questa storia delle macchioline mi è sempre stata attaccata come un’ombra, tutte le persone per me più care sono sempre in allontanamento e mentre si allontanano io piango sempre, proprio come nei film. Anche per me, come per il buon vecchio Jack, il mondo è sempre stato troppo grande.

I miei viaggi li ho sempre divisi in due categorie, quelli orizzontali e quelli verticali. Quelli orizzontali sono i meno dolorosi, fatti per sperimentare la varietà, i chilometri, le differenze facili da riconoscere, che saltano all’occhio a primo acchito: strade diverse, sapori nuovi, colori inaspettati e via dicendo.

I viaggi orizzontali non prevedono alcuna replica, ritornare in un luogo orizzontale significa sempre verticalizzarlo un po’.

Poi ci sono, però, i viaggi verticali veri e propri, quelli che ti legano in profondità. I viaggi verticali si fondano sul ritorno: per me, Siracusa soprattutto, un po’ Torino e adesso Skopje. Nei “luoghi verticali” la storia delle macchioline diventa un macigno (in realtà la bellezza di Kerouac è data dal fatto che riusciva a verticalizzare i suoi viaggi orizzontali in un battibaleno).

Nei viaggi orizzontali è vietatissimo andare al ristorante italiano al costo di fare la figura del solito turista sprovveduto, che non ha voglia di adattarsi e di conoscere. I ristoranti italiani, al contrario, sono cose da viaggi verticali: io ci sono andato per la prima volta lo scorso novembre proprio a Skopje.

Per chiedere la mano di Biljana, di fronte alla sua famiglia, per “rompere lo scalone”, come si dice in siciliano, siamo andati alla “Taverna Toscana”, il migliore ristorante italiano della città, gestito da un simpatico scultore macedone andato a Siena per imparare l’arte (salvo metterla prontamente da parte in vece della carriera di chef, eh!).

Quella sera tutto è stato proprio come doveva essere, perfetto: alcuni dei nostri commensali non avevano mai nemmeno assaggiato la cucina italiana (si sopravvive benissimo, ve lo assicuro) e così, proprio grazie al cibo squisito cucinato da Vlado, in un momento speciale, si sono potuti fare un’idea di me, bevendo nero d’avola, mangiando pasta cucinata come si deve e gustando pure il caffé.

Quella cena avrebbe parlato di me in due modi: sì orizzontalmente, presentandomi attraverso il cibo ma anche verticalmente, nella cura messa per scegliere il ristorante (I know how to choose a restaurant, even abroad), nella attenzione dedicata affinché tutto fosse come doveva essere, nella stanchezza del post-serata che mi ha fatto letteralmente cadere nel letto.

Vi lascio l’indirizzo del locale, ivo lola ribar 72, nel caso vi doveste trovare a Skopje in verticale: dopo aver mangiato kevapi, gyros, burek, sarma, apprezzerete l’opportunità di riconoscervi, in ciò che, lontano da casa, parla di voi.