Emma Bonino sull’indipendenza del Kosovo

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Siamo rimasti colpiti dall’articolo di Emma Bonino a riguardo della questione del Kosovo pubblicato sul Corriere di oggi. Pensiamo che dalla sostenitrice dei diritti umani e dell’internazionalismo ci sarebbe potuto aspettare di più.

La prospettiva di una unione con altri territori albanesi alletta solo un gruppo di fanatici e un’eventuale partizione stabilirebbe un pericoloso precedente per le aree teatro di altri possibili conflitti.

In base a quali dati si è in grado di affermare ciò? Ci si vuole davvero prendere la responsabilità di minimizzare il progetto della “Grande Albania”? Come la mettiamo con la guerriglia al confine con la Macedonia? O con i casi “eccezionali” come quelli di Kondovo, in cui un intero quartiere di Skopje è stato occupato dai guerriglieri nazionalisti albanesi?

Le violenze del marzo 2004 hanno dimostrato che la comunità internazionale non può contare in eterno sulla buona volontà locale.

Che cosa significa? I soldati della Kfor hanno assistito al rogo delle case della minoranza serba. Certo la questione non sarebbe dovuta rimanere di pertinenza della “volontà locale”, soprattutto nella misura in cui in quell’occasione sono stati violati i più elementari diritti umani.

La Serbia deve accettare di aver perduto il Kosovo e che compito di Belgrado è ora adoperarsi in favore dei serbi kosovari, anziché fantasticare sulla possibilità di riappropriarsi della regione. Le ultime notizie da Belgrado sono tutt’altro che incoraggianti. La comunità internazionale non può legittimare le fantasie serbe, deve piuttosto chiarire che Belgrado non ha diritto di veto sulla soluzione dello status finale del Kosovo.

In base a quale ragionamento, la Serbia non ha diritto di mettere il veto sulla questione del Kosovo, regione che, pur essendo amministrata dall’Onu, è ancora parte del suo territorio?

Non ci vogliamo sottrarre dal prendere la patata bollente e dal provare ad immaginare una soluzione, un punto di vista praticabile. Abbiamo letto con molta attenzione l’articolo di Osservatorio Balcanidi di oggi sulla questione.

La prospettiva di promuovere fortemente l’entrata della Serbia nell’Unione Europea e di legare l’indipendenza del Kosovo a questa prospettiva (ancora molto lontana, per l’opposizione di pressoché tutta la comunità internazionale) ci sembra di buon senso, nella misura in cui è l’unica soluzione antinazionalista praticabile.

La questione nell’ottica degli stati non si risolve. In un Kosovo dominato dal “nazionalismo estremo albanese/indipendentista” sponsorizzato dall’Occidente, la soluzione militare vedrebbe la Serbia come al solito nel ruolo del nemico, facile da schiacciare e da bombardare.

Forse sciogliere i confini falsi e fittizi degli stati nazionali balcanici in un’organismo sovranazionale (la nostra casa comune Europa?) e in un’area di libertà sovranazionale potrebbe riportare la situazione ad una condizione più confacente alla storia delle regioni balcaniche, eredi degli imperi Romano-d’Oriente e Ottomano. Il vero nemico di questo processo sono le elite nazionali, le borgesie e i gruppi di potere che purtroppo trovano spesso l’appoggio delle burocrazie e delle lobby politico/economiche dell’Occidente, mosse dai business dell’economia di guerra e dall’antica ma ancora efficace massima del divide et impera.

Forse dovremmo cominciare a spenderci per cambiare il volto dell’Europa e farcelo assomigliare il più possibile, cercando di cancellarne l’immagine burocratica e polverosa dei banchieri, in nome di un approccio politico inclusivo, forte e riformatore e, per una volta, davvero antinazionale.

Ci si può provare?